CAMBIAMO L’EUROPA, CAMBIAMO L’ITALIA

CAMBIAMO L’EUROPA, CAMBIAMO L’ITALIA
MANIFESTAZIONE NAZIONALE Sabato 15 ottobre ROMA – ore 14


VIII CONGRESSO


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MANIFESTAZIONE 16 OTTOBRE ROMA


giovedì 27 ottobre 2011

Continua il dibattito sull'editoriale di Bertinotti: l'intervento di Gianluca Schiavon

Il merito dell’ultimo editoriale su Alternative per il Socialismo è quello di riportare la discussione politica sul campo che le pertiene: lo spazio continentale. Solo collocando nella sfera dell’accessorietà le vicende italiane si può provare a elaborare un’analisi non guastata dal provincialismo. Bertinotti individua la lunga annata di crisi economico-finanziaria come un tornante storico e, quindi, una opportunità per le forze radicalmente democratiche, cioè per le forze autenticamente di sinistra. Occorre partire dal fenomeno nuovo: il “colpo di Stato neoliberista” posto in essere non solo da banchieri e boiardi, ma anche da una classe politica corriva alle multinazionali e ai potentati finanziari. Un sistema che ha sottratto ai Parlamenti il ruolo di legislatori e che non ha mai consegnato un effettivo potere normativo al Parlamento europeo. Una classe politica fallita e parassitaria a livello continentale che continua a scaricare la crisi su chi ha valorizzato o valorizza i capitali altrui. Il genio ebraico libertario di Karl Polanyi avrebbe stigmatizzato “l’ostinata e veemente insistenza degli economisti liberali nei loro errori”. Errori sui quali insistono sostenendo la necessità e l’urgenza dei medesimi. La necessità nel cancellare diritti frutto di decenni di lotte sarebbe per costoro il frutto dell’urgenza di placare lo stato parossistico dei mercati e, si sa, necessitas legem non habet. Lo strumento con cui vengono assunte le decisioni è sempre uno strumento del Governo (il decreto, l’ordinanza) ed è lo strumento con cui il Governo ripropone le scelte dell’Amministrazione. Questa Europa mette in discussione i suoi fondamentali: il primato delle Costituzioni formali ma, di più, il primato della legge sul provvedimento, della regola generale ed astratta sulla disposizione ad hoc. Si rovescia completamente il fondamento della sovranità poiché la sovranità appartiene ai Governi siano essi monocratici (i Presidenti della Repubblica) ovvero direttoriali (Presidente del Consiglio, Ministro del Tesoro e Governatore della Banca centrale). Tutta l’enfasi sul buon governo efficiente ed efficacie che semplifica le decisioni e migliora la democrazia delle chiacchiere ci fa uscire dal ’900 tornando a forme statuali e a teorie sullo Stato mutuate dal secolo XVII. E’ arcinoto che lo Stato moderno evolve togliendo potere all’esecutivo a favore del legislativo e allargando al massimo la base della rappresentanza. Giusta questa analisi la sinistra istituzionale o è già morta (la tesi di Bertinotti) oppure rischia la morte se pensa se stessa come sinistra di governo o, meglio, se si pensa come sinistra entro questo recinto di governo. Può la sinistra decidere sullo Stato d’eccezione? Possono i socialisti belgi sostituire un Governo privo di legittimazione parlamentare da un anno e mezzo compiendo come primo atto il salvataggio della banca Dexia a spese dei lavoratori? Può il presidente del partito socialista europeo usare il coprifuoco in Grecia per far passare i tagli imposti dalla trojka (BCE-FMI-UE)? La sinistra invece vive se dà priorità a progettare un altro sistema poi, eventualmente, con nuovi rapporti di forza sociali un altro governo. Per questo le ragioni dei 500.000 in piazza il 15 ottobre sono il perno della piattaforma per l’alternativa: se la sinistra non si concentra solo su queste ragioni emergeranno sempre più i ‘grumi di rabbia’ che trasformano le manifestazioni in jacquerie. L’appello ¡Democracia real ya! –ad esempio – mira a ridare vitalità a poteri fondamentali per le democrazie contemporanee: il potere legislativo e gli istituti di democrazia diretta. L’Italia, in particolare, si colloca tra i Paesi nei quali la democrazia parlamentare è cancellata. Tremonti, Calderoli, Sacconi con la manleva di Napolitano hanno prodotto una manovra economica costituente. Il Governo ha scelto di sostituirsi completamente al Parlamento imponendo per decreto legge e con la fiducia un testo che fa strame del contratto nazionale di lavoro, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dell’autonomia di Comuni, Province e Regioni, del principio di progressività del fisco. Dobbiamo contrapporre alla politica personalistica quella fondata sulla difesa del potere delle assemblee legislative nazionali e regionali contro lo stra-potere di troppi feudatari (Sindaci e Presidenti di Giunte). Contrapponiamo al pessimo uso di soldi pubblici in indennità, consulenze e i consigli d’amministrazione la rappresentanza democratica elettiva e il diritto di voto per i nativi e i migranti. Possiamo ridare forza alla Repubblica italiana fondata sulla resistenza riportando al Parlamento il potere di nominare e sostituire i Governi. Diamo ancora un significato alle elezioni con la parola d’ordine “una testa un voto” cioè con una legge elettorale proporzionale che rappresenti i soggetti sociali e le differenti culture politiche invece delle consorterie e delle corporazioni? E sul livello continentale possiamo invocare una fase costituente dal basso dell’Unione europea. Una vera e propria rifondazione dell’UE a partire dal suo principale capestro: la Banca centrale. Costruendo l’alternativa a questa Europa a più velocità, classista, subalterna all’atlantismo e alle sue politiche di guerra provando a riequilibrare l’influenza dell’asse neocarolingio della borghesia franco-tedesca con regole che diano un peso proporzionale alle popolazioni e alle culture che in questa Europa ancora albergano. Il primo nemico da combattere è una economia finanziaria otto volte più forte e potente dell’economia reale e quasi totalmente priva di regole e contrappesi. E questo nemico può essere battuto rilanciando l’antica parola d’ordine della democrazia economica: cioè la democratizzazione della decisione su cosa, dove e come produrre. Si tratta di un vero programma di governo oggi espulso da tutti i pretendenti ai governi (o al governo) europei. Un programma che per affermarsi abbisogna di un conflitto articolato e di lunga durata, non della violenza anonima e brutale di un migliaio di persone che – solo a Roma – hanno rovinato una manifestazione unitaria mondiale. Un conflitto che ravviverà la partecipazione e così facendo permetterà un dialogo su parole d’ordine nuove e più avanzate tra sinistra comunista, socialista, libertaria.

Gianluca Schiavon
Direzione nazionale PRC-FdS

Da: Gli Altri 21.10.2011

lunedì 3 ottobre 2011

Sel e Prc, Nuovo Ulivo e Bce: Bertinotti anima il dibattito

Gli aspetti evocativi innegabilmente ci sono: lo dimostrano titoli come "Fausto dà l'addio a Nichi", oppure "Sel perde il suo padre nobile". E ancora "Contrordine compagni questa sinistra non va più bene", o il titolo tranchant di Libero "Bertinotti rispunta col machete: accompagnare l'aria di rivolta". Legami sentimentali, vecchi e nuovi, che si intrecciano e si sciolgono. Anche questa è la storia della sinistra italiana. Ma ci sono pure aspetti pratici, dal referendum neomaggioritario alla lettera-ordine di servizio della Banca centrale europea, che contrassegnano l'attuale fase politica della sinistra italiana. Unite al più classico degli interrogativi (di leniniana memoria): che fare? Tra nuovi Ulivi, fronti democratici contro il governo Berlusconi-Bossi e approcci al Terzo polo, la discussione è serrata. E se Fausto Bertinotti ribadisce ancora una volta che nessuna delle forze di sinistra italiane lo convince, il diritto di replica richiede di ascoltare chi quotidianamente si impegna all'interno della sinistra. "Pronto?". Dal'altra parte del telefono c'è il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero. "Che ne pensi delle osservazioni di Bertinotti?". «Sono d'accordo con Bertinotti sia quando boccia il sistema elettorale maggioritario, sia quando dice che nel contesto dato non è possibile fare un accordo di governo - precisa Ferrero - Sono due motivi che hanno portato alla scissione di Rifondazione del 2008. Il nodo è ormai venuto al pettine: chi ha cercato di far finta che fosse possibile moderare le politiche neoliberiste senza uscirne è rimasto completamente spiazzato dalla crisi. Più che un nuovo Ulivo occorreva una scelta netta, anche in Europa. Non per caso gli unici che si sono opposti alla politica Ue contestandola alla radice sono i compagni della linke in Germania, e del Synaspimos in Grecia». Altro telefonata. All'altro capo del filo c'è Alfonso Gianni, per anni strettissimo collaboratore di Bertinotti, anima ribelle di Sinistra ecologia e libertà, soprattutto fondatore di "Alternative per il socialismo", periodico cui l'ex presidente della Camera ha affidato il suo pensiero sulla fase politica. «L'articolo scritto da Bertinotti sulla nostra rivista è molto più complesso di quanto riportato da alcuni quotidiani - premette Gianni - Detto questo, ci sono posizioni diverse all'interno di Sel, non è un mistero, non c'è bisogno di tirar Bertinotti per la giacchetta». «Il problema di fondo - spiega - è se Sel debba essere o meno un soggetto politico autonomo sotto il profilo ideale e programmatico. Se bisogna parlare di alleanze o di come infilarsi in casa altrui». Esiste la possibilità di dare vita a un nuovo Ulivo o un nuovo centrosinistra? Gianni pensa che «non si possa sottovalutare il dato di un quadro politico europeo in evoluzione». Meno tranchant di Bertinotti. Quanto al referendum, Gianni è esplicito: «Avrei puntato sulla proposta Passigli, un proporzionale corretto alla tedesca anziché su un maggioritario corretto all'italiana. Fausto dice di fare saltare il recinto, il referendum è una gabbia». Gianluca Schiavon è uno dei più giovani membri della direzione nazionale di Rifondazione comunista. Cresciuto nella Rifondazione bertinottina, non nasconde il suo apprezzamento per alcune osservazioni del vecchio segretario del partito. «Un intervento di grande respiro. Bertinotti fotografa l'assenza di democrazia in Europa, e la sinistra prospera solo quando c'è democrazia. Alla luce di scelte antidemocratiche come quelle della Banca centrale europea, applaudita anche dalle forze parlamentari di opposizione, la domanda che ci poniamo è se la sinistra possa andare al governo oppure no». Schiavon si dà la risposta: «Penso che in queste condizioni sia praticamente impossibile andarci». Di più: «Con questo articolo, Bertinotti si mette in sintonia con il movimento che il 15 ottobre sarà in piazza in tutta Europa». Da Napoli risponde Peppe De Cristofaro, ex deputato del Prc, segretario partenopeo di Sel. Lui, che all'epoca delle elezioni amministrative non aveva fatto mistero di preferire la candidatura di Luigi De Magistris a quella di Mario Morcone, la vede così: «Una sinistra che resta alla finestra, che si ritaglia un ruolo marginale non mi convince. Milioni di persone hanno votato per l'acqua pubblica, nonostante il Pd fosse per la privatizzazione dei servizi. I democratici hanno rivisto la propria strategia. Penso che le condizioni per diventare maggioritari nella sinistra ci siano. Faccio un esempio, la patrimoniale. Prima era sostenuta solo dalla sinistra radicale, adesso la vogliono quasi tutti». Conclude De Cristofaro: «La crisi economica ci può paradossalmente consentire una piattaforma più avanzata su un programma che metta insieme forze politiche e movimenti». Ultimo ma non per ultimo Alberto Burgio, professore universitario a Bologna, da sempre voce fra le più ascoltate all'interno di Rifondazione comunista e non solo. «La prospettiva movimentista di Bertinotti non mi convince del tutto - dice subito Burgio - è solo la parte di un ragionamento. Mi spiego: all'espressione spontanea di conflittualità sociale deve corrisponde la capacità politica di forze organizzate. Bisogna lavorare ad una sinergia del sociale e del politico, è questa la chiave perché si determini un dinamica antagonistica. I movimenti senza politica sono costretti in una sussultoria spontaneità. La politica senza movimenti diventa tecnicismo istituzionale». La discussione continuerà, si accettano scommesse.

Frida Nacinovich

"Nessun governo con il Pd" Bertinotti, applausi dagli ex

Continua la discussione suscitata dall'editoriale di Fausto Bertinotti. Pubblichiamo articolo de Il manifesto.

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IL CASO - Ferrero, Prc: è tornato il leader del '98. Ma dica sì al fronte antidestre

«Nessun governo con il Pd» Bertinotti, applausi dagli ex

Il segretario e l'ex guida di Rifondazione uniti dalla legge elettorale. Preparano un confronto pubblico a Milano


«In queste sue ultime scelte ritrovo il Bertinotti del '98 (quello della rottura con Prodi, ndr) del 2001 (quello del Social Forum di Genova, ndr) insomma, per me il Bertinotti migliore». L'ultima «rottura» dell'ex segretario Prc piace molto a Paolo Ferrero, all'attuale segretario di quel partito, nel frattempo però passato per alcune scissioni. L'ultima, nel 2009. Spiega Ferrero: «In quell'occasione il tema di fondo era proprio il tema del governo e il rapporto con il Pd». Vendola e i suoi, che non escludevano una futura collaborazione con il centrosinistra, uscirono dal partito e fondarono Sinistra ecologia libertà. Bertinotti non vi aderì, ma si schierò con loro.
Ora, con l'acuirsi della crisi e il 'golpe' delle manovre d'agosto, neanche avversate dal Pd, Bertinotti ha scritto un saggio (esce in questi giorni su Alternative per il socialismo) che bolla come «ente inutile» la sinistra «che non sa dire di no», e che al pari delle destre «accompagna acriticamente la ristrutturazione capitalistica». Niente accordi, dunque. E indica la strada dell'autonomia dei movimenti «di lotta e di mobilitazione», rivolte e indignados.
La cronaca si incarica di dimostrare almeno il suo primo assunto: di ieri la pubblicazione di una lettera in cui la Bce indica la selvaggia cura economica a cui dovrebbe essere sottoposta l'Italia. Dal Pd nessuna contestazione di merito. «È evidente che il centrosinistra, per com'è oggi, non vuole fuoriuscire dal quadro dei vincoli monetari europei», ragiona Gianni Rinaldini, già segretario Fiom oggi fra i promotori di Uniti per l'alternativa, che prepara la mobilitazione del 15 ottobre. «La riedizione dell'Ulivo è destinata al fallimento, questo è sicuro e già dimostrato, basta guardare a Zapatero e alla Grecia. Il resto è oggetto di discussione».
Ma torniamo al Prc. Ferrero applaude il Fausto ritrovato. «Il punto, che noi avevamo individuato da tempo, è che non ci sono le condizioni per un governo con il centrosinistra. È la lezione di fondo dell'ultimo governo Prodi», di cui Ferrero era ministro e Bertinotti presidente della Camera. Ma stavolta Bertinotti non scavalca perfino la Rifondazione - che non vuole fare il governo con l'Ulivo ma propone comunque un fronte antidestre - e riecheggia l'antico «questo o quello pari sono», riferito agli schieramenti di destra e centrosinistra? Ferrero mette le mani avanti, ha letto il saggio solo negli stralci pubblicati dal manifesto, ma «se così fosse sbaglierebbe. Passerebbe dall'estremismo governista a quello della separazione consensuale del 2008, ai tempi della Sinistra arcobaleno, una delle principali cause della nostra distruzione. Pd e Pdl non sono pari, il governo Bersani garantirebbe un quadro costituzionale e non procederebbe alla demolizione rapida dei diritti e dello stato sociale».
In Rifondazione applausi a scena aperta, dunque. Il padre nobile di Sel sembra sconfessare la linea 'accordista' di Vendola e compagni. E non solo per manifesta incompatibilità con le ricette economiche del Pd. «Bertinotti concorda con noi anche sul fatto che il sistema bipolare maggioritario sia una gabbia che preclude la costruzione del nuovo spazio pubblico; e che, quindi, è un imbroglio il referendum in atto sul ripristino del "Mattarellum". Non a caso la rivendicazione prima degli "indignati" spagnoli è quella del sistema proporzionale», dice Giovanni Russo Spena. Mettendo il dito su un altro punto di contatto del vecchio segretario con l'ultimo Prc: la legge proporzionale. Vendola si è schierato con il referendum pro Mattarellum. E non poteva fare diversamente: il ritorno al proporzionale cancellerebbe le primarie per la premiership, eterno cavallo di battaglia di Vendola. Fu proprio Bertinotti, del resto, il primo a portare la sinistra sinistra alle primarie, quelle dell'Unione nel 2005.
«Siamo di nuovo in sintonia», spiega Augusto Rocchi, punto di riferimento dei bertinottiani non entrati in Sel. A patto che «non ci si chiuda nell'isolazionismo. Oggi Bertinotti dà ragione alla scelta di fondo del Prc: che non si è chiuso nel settarismo identitario, pur sapendo che le condizioni per un governo con il centrosinistra non ci sono». Ma è un riavvicinamento? In questi giorni l'ex presidente della Camera discute con molti suoi ex compagni di partito. La prossima settimana tornerà a Liberazione, il quotidiano del Prc, per un forum con Ferrero. E a novembre i due si sono dati un altro appuntamento pubblico, una tavola rotonda a Milano, assieme a Mario Tronti.
Daniela Preziosi
Il manifesto, 30 settembre 2011