Essere precari significa essere ricattabili: viviamo nel terrore di far valere i nostri diritti perché temiamo di perdere quei pochi diritti che abbiamo ancora. Così finiamo per festeggiare quando, nel migliore dei casi, firmiamo un co.co. pro. sottopagato e con un progetto del tutto inventato in sostituzione di un contratto di lavoro subordinato. A noi precari, non interessa il lavoro della nostra vita: siamo disponibili alla flessibilità e possiamo anche ritenere interessante il fatto di dover/poter cambiare occupazione più volte nel corso della nostra carriera lavorativa. A noi interessa trovare un nuovo lavoro una volta lasciato il vecchio, avere una qualità della vita accettabile e ancor di più interessa avere un salario “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.). Vogliamo poter arrivare alla fine del mese senza fare debiti – nel caso più fortunato in cui ci venga concesso un credito- o senza angosce, altrimenti la precarietà lavorativa si trasforma in una precarietà di vita. Ed ecco che il capitale si oppone non soltanto al lavoro ma alla vita stessa, all’esistenza. Parlare di precariato significa anche prendere atto che oggi i dispositivi di controllo che storicamente sono sempre stati attuati sulle donne vengono applicati anche agli uomini. Se dapprima le donne si dimostravano maggiormente disposte a lavorare in condizioni inadeguate, oggi si può affermare che si applicano gli stessi dispositivi di controllo sia sugli uomini che sulle donne, rimanendo pur sempre alcuni elementi di differenziazione. Per questi motivi il collettivo PrecariaMente, promosso da Rifondazione e aperto a tutt*, ha deciso di sottoscrivere l'appello promosso da “il nostro tempo è adesso” e partecipare alla mobilitazione prevista per il 9 Aprile. Noi del collettivo pensiamo che possa essere un’occasione di confronto tra le diverse realtà e che necessiti sostenere i lavorator*, a partire dalle lotte svolte dalla Cgil per difendere il contratto degli operai di Pomigliano, e che sia d’obbligo salvaguardare il futuro e l’esistenza di noi precari agendo il conflitto. Il collettivo è al fianco di queste lotte, non di altre! Un altro appuntamento importante a cui PrecariaMente certamente non mancherà sono gli “Stati Generali della precarietà 3.0” organizzati dal movimento di San Precario, il quale ha una elaborazione che viene da lontano e che connette i differenti problemi delle nostre vite, opposte al capitale e ai diritti.
Oggi, quando si parla di precariato, non si può prescindere dai movimenti e da tutti i pezzi della sinistra che lavorano in tal senso: non fare rete è un errore che non ci possiamo permettere. La più grande vittoria del precariato è stata quella di isolarci, di farci credere che non è possibile lottare per ottenere un’esistenza migliore. Ma non bisogna cedere alla propaganda: non cedere al “vita mea, mors tua” e combattere tutti insieme per i nostri diritti, dal reddito minimo garantito all’abolizione del precariato. E questo perché noi precari siamo una risorsa, perché siamo tipologie atipiche di eroi: come dice una famosa canzone di Caparezza, combattiamo tutti i giorni per la pensione, per difendere il nostro mestiere e per proteggere le nostre famiglie dai cravattari. Siamo come degli equilibristi che devono camminare sul filo precario della vita con tanti pesi sulle spalle dati dai problemi connessi alla mancanza di un lavoro o di un salario adeguato (casa, bollette, imprevisti, desideri, relazioni affettive, autodeterminazione…): la differenza con un performer vero è che se cadiamo dal filo, sotto non c’è una rete a sostenerci, come ad esempio un reddito minimo garantito. Siamo completamente abbandonati a noi stessi, benché tutti parlino di noi.
Valentina Greco - PrecariaMente