Il limite maggiore che la sinistra di alternativa deve superare è la incapacità di superare la coazione a ripetere. È paradossale che mentre diciamo che la crisi ha un caratteri sistemico, che tutto è messo in discussione nei rapporti sociali, economici e culturali a livello nazionale ed internazionale, i parametri entro cui collochiamo le nostre azioni sono quelli che abbiamo sperimentato, nel bene e nel male, dentro la fase politica che sta arrivando a conclusione. Il ventennio della seconda repubblica si chiude dentro la crisi della globalizzazione alla quale l’Europa e ancor meno l’Italia sanno dare una risposta adeguata; il capitale finanziario sta imponendo le sue leggi agli stati e ai governi e la politica, invece di riprendere fino in fondo la sua funzione di scienza della trasformazione, appare sciogliersi, sfarinarsi.
La politica come esercizio dell’amministrazione dell’esistente ha mostrato il suo fallimento e, non a caso, si esaurisce ormai nelle faide di potere tra gruppi e persone che lo hanno esercitato avvalendosi di leggi elettorali “porcata”, di bipolarismo del pensiero unico, di maggioritario senza egemonia. L’esito dei referendum rappresenta in modo evidente che ritorna una domanda di politica ancorata a principi e valori forti, a visioni del mondo condivise, a democrazia partecipata che contesta la delega.
Per questo l’accordo interconfederale firmato anche per un grave cedimento della CGIL sul terreno della propria concezione della democrazia, oltre che una grave lesione ai diritti dei lavoratori, appare come l’estremo tentativo di una classe imprenditoriale senza idee e progetti, di salvare i propri profitti scaricando sui lavoratori il costo della competitività; per questo è necessario sostenere la FIOM e ogni azione volta a recuperare iniziativa e conflitto. Quando oltre quaranta anni fa, si propose la questione se dovessero essere le vecchie e gloriose Commissioni Interne o i consigli di fabbrica eletti su scheda bianca e le assemblee a validare le piattaforme e i contratti, nel confronto politico aspro, Bruno Trentin amava raccontare la storia della ranocchia e del ranocchio che si incontrano in uno stagno: il ranocchio corteggia la ranocchia e lei si schermisce dicendo “non sono una ranocchia ma una principessa trasformata dal sortilegio di una strega invidiosa e brutta; ma verrà un principe che con un bacio mi farà tornare principessa”; al che il ranocchio, inorgoglito: “neppure io sono un ranocchio, sono un metalmeccanico”, e quando la ranocchia chiede le ragioni della trasformazione, il ranocchio, disorientato, risponde “ ma, io non so! Ha fatto tutto il sindacato!!” Trentin concludeva dicendo che mai più si dovesse ripetere una cosa simile.
Accordo sindacale e referendum sono due facce contraddittorie della fase in cui siamo chiamati ad agire.
Bene dunque la organizzazione di un momento di studio sulla attualità del comunismo, come ha proposto Ferrero; suggerisco che più corretto ed opportuno sarebbe parlare di attualità del socialismo, come alternativa al capitalismo, dato che il richiamo al comunismo, storicamente determinato, non ha dato buoni esiti. Bene anche il seminario sul partito che sarebbe opportuno si rivolgesse anche alla crisi della politica, e delle sue forme, senza le cadute qualunquiste che sono, purtroppo, di moda.
Ferrero propone un Congresso unitario che non esponga il partito, già debole, a lacerazioni; d’accordo. Ma l’unità non è assenza di confronto ne può essere una sorta di congelamento dei gruppi dirigenti legati dal patto di gestione scaturito dopo la scissione vendoliana. Bisogna pur prendere atto che la proposta di costruire l’unità a sinistra attraverso la Federazione si è dimostrata inefficace, un cartello elettorale che non ha neppure funzionato come si pensava. Bisogna fare i conti con una crisi del PD che non riesce ad esprimere una ipotesi di alternativa alle politiche fallimentari e antipopolari con cui Berlusconi e Tremonti hanno gestito la crisi economica. Confrontarsi con SEL al cui interno si manifestano contrasti profondi su questioni fondamentali come l’accordo sindacale e i referendum per il ripristino del sistema proporzionale. Non è sufficiente ribadire la disponibilità al fronte democratico per mandare a casa Berlusconi e chiedere l’intesa con il PD con la garanzia di non partecipare ad un eventuale governo ma di sostenerlo per evitare il ritorno della destra. La situazione richiede il coraggio di sfidare la sinistra moderata su una proposta di alternativa di politica economica e sociale quale viene dai referendum sull’acqua; richiede di fare i conti con la riforma dello Stato sociale lungo una linea di uguaglianza e solidarietà, con la riforma della economia e della politica attraverso forme nuove di democrazia e di partecipazione e controllo dei lavoratori sull’impresa. E su questo terreno ricercare una robusta piattaforma di governo sulla quale impegnare tutta la disponibilità nostra e di quanti si cimentano nella costruzione dell’alternativa. Diversamente si rimane prigionieri del passato, si legittima la politica moderata ritagliando per se una ipotetica presenza parlamentare di testimonianza. Per questo la questione del governo è decisiva di una strategia non di una banale scelta “governista”.
Su questi terreni va sviluppato il confronto tra di noi e sarebbe auspicabile un congresso nel quale potessero confrontarsi, laddove si manifestassero, tesi diverse in maniera limpida e trasparente. Per questo le regole con le quali daremo vita al Congresso sono importanti: possono rappresentare la continuazione dell’esistente, fatto di patti di gestione del partito tra correnti o, viceversa, l’alimentazione di un soggetto politico che guarda alla costruzione della sinistra che serve oggi per l’alternativa di società e di governo. Questa sfida ridarebbe a Rifondazione un ruolo che difficilmente potrebbe essere ignorato od oscurato; si passerebbe dalla marginalità al protagonismo.
Salvatore Bonadonna
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