Proponiamo nel nostro documento una ambiziosa agenda composta da obiettivi programmatici e di questioni teoriche, in un percorso di ricerca intrecciato con la pratica politica; un cambio di lenti per guardare, alla società, ai soggetti che la popolano e alle contraddizioni che l'attraversano.
Per una strategia politica: quella che riconosce la necessità di ricostruzione di una cultura e di un senso comune diffuso come precondizione per una sfida ai poteri dominanti.
Tanto più si rafforza questa necessità nella fase acuta della crisi capitalista e del neoliberismo con il Paese sull'orlo del fallimento economico, sociale, politico.
La caduta di Berlusconi dovuta non già all'incalzare dell'opposizione, dei movimenti di massa, delle organizzazioni sociali, che difendono le condizioni di vita dei lavoratori e delle famiglie, ma dalla crisi dei mercati e dal ruolo del Presidente della Repubblica che assume su di sé, al limite dei compiti assegnati dalla Costituzione, nel vuoto di proposta politica, il ruolo di difesa degli interessi nazionali chiedendo alle forze politiche presenti in Parlamento di assecondare la sostituzione della politica con un governo "tecnico" una "casta" più presentabile in luogo di quella berlusconiana.
Il governo Monti è esposto al rischio che il morto, cioè il berlusconismo e i suoi apparati predisposti alla raccolta del consenso, afferri il vivo, cioè la possibilità di una uscita da sinistra dalla crisi e un rilancio delle forme di democrazia e partecipazione. Precondizione, evidente, ad una politica dei sacrifici che penalizzerà i ceti più deboli della società.
In questo contesto nessun governo, se non rimette in discussione le modalità e il ruolo dell'Europa e della Bce è in grado di offrire vie di uscita diverse da quella greca.
Per parte nostra dobbiamo lavorare alla ricostruzione della sinistra di alternativa che affronti il problema aperto di come una coscienza antagonista, anticapitalista, comunista possa formarsi e organizzarsi a partire dalle sue condizioni di vita e di lavoro per divenire soggetto della trasformazione. In altri termini del ruolo come e se, oggi, le nostre culture politiche siano adeguate ad interpretare la realtà e la necessità della rivoluzione come interpretazione del presente e come risposta alla crisi costituente in atto.
Abbiamo bisogno di un cambio di passo perché la necessità del cambiamento e l'acuirsi della crisi trovino il partito e i gruppi dirigenti adeguati all'impegno che la fase richiede e per dare una risposta al restringimento degli spazi di democrazia essendo consapevoli della degenerazione in atto nella società e nell istituzioni.
Da soli non ce la facciamo, per questo ritengo che, assieme ad altri, dovremmo definire la convocazione degli Stati Generali della sinistra di alternativa per affrontare le questioni drammatiche aperte nel Paese. Primo tra tutti il lavoro e i rapporti di dominio in questo nuovo modo di produzione. Il sindacato e il ruolo che parte di esso ha assunto, le difficoltà di risposta in assenza di un certo e forte riferimento politico anche delle organizzazioni sindacali che con coraggio resistono nella difesa delle condizioni di lavoro, normative e salariali.
Compiti difficili ma: "se non ora quando?". Se non li affrontiamo noi che siamo poeti tanto da definirci, e voler restare, comunisti, questo grumo di questioni, nessun altro, possiamo starne certi lo farà.
Per una strategia politica: quella che riconosce la necessità di ricostruzione di una cultura e di un senso comune diffuso come precondizione per una sfida ai poteri dominanti.
Tanto più si rafforza questa necessità nella fase acuta della crisi capitalista e del neoliberismo con il Paese sull'orlo del fallimento economico, sociale, politico.
La caduta di Berlusconi dovuta non già all'incalzare dell'opposizione, dei movimenti di massa, delle organizzazioni sociali, che difendono le condizioni di vita dei lavoratori e delle famiglie, ma dalla crisi dei mercati e dal ruolo del Presidente della Repubblica che assume su di sé, al limite dei compiti assegnati dalla Costituzione, nel vuoto di proposta politica, il ruolo di difesa degli interessi nazionali chiedendo alle forze politiche presenti in Parlamento di assecondare la sostituzione della politica con un governo "tecnico" una "casta" più presentabile in luogo di quella berlusconiana.
Il governo Monti è esposto al rischio che il morto, cioè il berlusconismo e i suoi apparati predisposti alla raccolta del consenso, afferri il vivo, cioè la possibilità di una uscita da sinistra dalla crisi e un rilancio delle forme di democrazia e partecipazione. Precondizione, evidente, ad una politica dei sacrifici che penalizzerà i ceti più deboli della società.
In questo contesto nessun governo, se non rimette in discussione le modalità e il ruolo dell'Europa e della Bce è in grado di offrire vie di uscita diverse da quella greca.
Per parte nostra dobbiamo lavorare alla ricostruzione della sinistra di alternativa che affronti il problema aperto di come una coscienza antagonista, anticapitalista, comunista possa formarsi e organizzarsi a partire dalle sue condizioni di vita e di lavoro per divenire soggetto della trasformazione. In altri termini del ruolo come e se, oggi, le nostre culture politiche siano adeguate ad interpretare la realtà e la necessità della rivoluzione come interpretazione del presente e come risposta alla crisi costituente in atto.
Abbiamo bisogno di un cambio di passo perché la necessità del cambiamento e l'acuirsi della crisi trovino il partito e i gruppi dirigenti adeguati all'impegno che la fase richiede e per dare una risposta al restringimento degli spazi di democrazia essendo consapevoli della degenerazione in atto nella società e nell istituzioni.
Da soli non ce la facciamo, per questo ritengo che, assieme ad altri, dovremmo definire la convocazione degli Stati Generali della sinistra di alternativa per affrontare le questioni drammatiche aperte nel Paese. Primo tra tutti il lavoro e i rapporti di dominio in questo nuovo modo di produzione. Il sindacato e il ruolo che parte di esso ha assunto, le difficoltà di risposta in assenza di un certo e forte riferimento politico anche delle organizzazioni sindacali che con coraggio resistono nella difesa delle condizioni di lavoro, normative e salariali.
Compiti difficili ma: "se non ora quando?". Se non li affrontiamo noi che siamo poeti tanto da definirci, e voler restare, comunisti, questo grumo di questioni, nessun altro, possiamo starne certi lo farà.
Stefano ZUCCHERINI
Direzione Nazionale PRC
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