La panoramica descritta nella relazione del compagno Ferrero, largamente condivisibile, manca di un asse analitico capace di produrre non solo la necessaria opposizione ma anche la costruzione di una alternativa.
Ad una crisi di sistema, come ormai viene definita la crisi anche dalle forze che l’hanno sostanzialmente prodotta, e oggi cercano di governarla, occorre sapere contrapporre una alternativa di sistema, una strategia capace di unificare le forze e i movimenti che pagano i prezzi più acuti, lungo la strada che porti a costruire l’alternativa di società. Sulla opposizione al governo Monti non c’è discussione; per certi versi questo, però, ha finito per prosciugare la ricerca ed il confronto sulle strategie da mettere in campo.
Credo sia indispensabile cercare di capire i processi che si sviluppano in Europa, le politiche che la Germania ha messo in campo per fronteggiare la concorrenza e la pressione che viene dagli USA e dalle multinazionali della finanza angloamericane. Il quadro politico mondiale è sconvolto sul piano economico e su quello politico se guardiamo anche a quanto si agita e si è prodotto nel Medio Oriente e nell’Africa; cambia la fisionomia e la natura del sistema con cui gli USA hanno controllato e governato gli equilibri del potere nel mondo. Siamo dentro un processo di ristrutturazione capitalistica a livello mondiale; e c’è dentro la Cina, l’India, l’America Latina, il Giappone e i Paesi Asiatici. Negli USA, ancora una volta, alla faccia delle predicazioni liberiste rivolte al resto del mondo, il governo è intervenuto prima a salvare le banche, poi a salvare i grandi gruppi industriali e a scaricare il costo sul resto delle economie mondiali. Non è certo la politica del New Deal degli anni ’30 che era a favore del lavoro, dei sindacati, del controllo statale sulle banche, delle grandi opere di bonifica delle vallate e dello sviluppo dell’agricoltura; per certi versi è il suo contrario. Oggi l’economia americana, grazie a questo intervento dello Stato, è in ripresa con salari di fame e profitti in crescita e il capitale finanziario è concentrato nelle banche d’affari e nei fondi d’investimento degli Stati Uniti; con questi strumenti governano e impongono le politiche nel mondo.
La Germania, nello sforzo di non soccombere a questa offensiva, sta scaricando i costi della difesa del suo apparato produttivo e del suo sistema finanziario sui paesi più deboli dell’Europa utilizzando la moneta, l’Euro, come arma formidabile di colonizzazione e di dominio; ha recuperato verso la Cina le quote di mercato perse in Europa e lavora a costruire un nuovo sistema pangermanico nel quale sia la politica che le economie siano collegati ai propri interessi. Dal Belgio all’Olanda, dalla Finlandia alla Polonia e alla Ungheria, il sistema tedesco cerca di organizzare un’area economica e di potere forte e centralizzato anche avvalendosi delle derive reazionarie, razziste, neonaziste che si manifestano e che trovano sistemazione anche nelle Costituzioni che i governi, quello Ungherese in primo luogo, stanno approvando. La democrazia e il sistema di Stato Sociale, affermatisi dopo la guerra con la sconfitta del nazismo, non sono più considerati valori fondanti dell’Europa dei mercati; mai come adesso prende significato l’affermazione della Tatcher secondo la quale “la società non esiste”. La linea della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio costituisce la sanzione forte del primato e del dominio del mercato. E ricordiamoci che dalla Grande Crisi degli anni ’30 gli Usa ne uscirono con il New Deal, l’Europa con il Terzo Reich! C’è sempre presente ed immanente l’opzione dell’uscita autoritaria e fascista, nelle forme nuove, dalla crisi del capitale. E, in Italia, la lezione crociana del fascismo come fenomeno passeggero continua ad essere presente e ad operare anche perché Gramsci non è più autore di riferimento della sinistra cooptata nel recinto dei governanti della crisi.
Per questo non sono sufficienti la dichiarazione di opposizione al governo Monti e le prese di distanza dalle posizioni che il PD e altre forze della sinistra, come SEL, assumono rispetto al governo. C’è un lavoro politico di ricostruzione della cultura critica che va sviluppato nel profondo della società; per questo non basta dire che noi siamo “nelle” lotte e “con” le lotte dei movimenti. La crisi della politica, che si accompagna alla crisi della democrazia e alla sua sostituzione con governi “tecnici”, in Italia come in Grecia, richiede una forte battaglia politica che non si esaurisce nella pur necessaria e utile maggiore presenza in qualche trasmissione televisiva. Rifondazione Comunista e la Federazione della Sinistra, se vogliono avere un ruolo che non sia solo quello della testimonianza, debbono essere capaci di aprire un fronte di battaglia politica e culturale verso quelle masse che, anche nel PD e nei sindacati, hanno visto nel governo Monti la fine di Berlusconi e del berlusconismo e, ancora oggi, confidano in una seconda fase nella quale dovrebbe realizzarsi lo sviluppo, la decantata crescita, l’uscita dall’incubo della crisi non vedendo che le politiche del governo l’acuiscono e l’accelerano. Il fatto che tutte le forze che sostengono Monti si affannino a spingere verso processi di cosiddetta liberalizzazione nasconde la verità del progetto di privatizzazione dei grandi servizi pubblici che rappresentano le fonti di profitto e di rendita assicurate dalla possibilità di spremere i lavoratori e i consumatori insieme. È evidente che dietro la liberalizzazione dei taxi c’è il disegno di mettere in campo grandi compagnie con flotte di auto pilotate da manodopera precaria a prezzi stracciati, come negli USA; ed è grave che le cooperative si prestino a questo mercato speculativo come in quello dei farmaci o dei carburanti. Solo la demagogia populista contro tutto ciò che è pubblico spinge verso la privatizzazione e non verso la socializzazione e il controllo democratico, come dovrebbe essere per ciò che intendiamo per “beni comuni” o servizi indispensabili di pubblica utilità. Come non vedere che riparte, ancora con il sostegno della Banca d’Italia, l’attacco della finanza speculativa al sistema delle Banche Popolari cooperative che rappresentano oltre un quarto del risparmio italiano e sono le uniche che continuano ad aumentare la raccolta del risparmio e a sostenere le imprese che ancora reggono nelle economie locali. Insieme ad Enel, Eni e Finmeccanica, costituiscono l’obiettivo della finanza predatoria.
Insomma, non possiamo continuare come se nulla fosse accaduto con la elezione del governo Monti e che le dinamiche politiche siano e rimarranno quelle che stavamo discutendo prima del Congresso.
In questa crisi di sistema si scompongono le forze politiche e il loro rapporto con le forze sociali di riferimento, saranno messe in crisi le opzioni consolidate in venti anni di concertazione sindacale. La cancellazione del contratto dei metalmeccanici e la estromissione della FIOM dagli stabilimenti Fiat, la ristrutturazione delle telecomunicazioni, dei trasporti, delle poste e di altri importanti settori, fino alla minacciata cessazione della Fincantieri, propongono la urgenza di assumere iniziative politiche insieme dirompenti ed unitarie; si ripropone con forza la necessità di elaborare una strategia di unità e di alleanze sociali.
In questa prospettiva occorre avere la consapevolezza che non serve un Partito che continua ad essere chiuso e autoreferenziale; non conta nulla e non incide nella realtà sociale la dinamica asfittica dei rapporti e delle mediazioni tra gruppi dirigenti nella Federazione della Sinistra. La crisi della politica, alimentata anche da una interessata e martellante campagna di antipolitica, è una realtà che non tocca solo gli altri: noi non ne siamo immuni per il fatto di non essere in Parlamento. Perché la crisi della politica è propriamente data dalla separazione, dalla distanza ormai quasi irrecuperabile, tra le forme tradizionali delle sue organizzazioni e la società. Per questo la politica non intercetta i movimenti che si agitano nella società e cercano di vivere e crescere proprio sulla negazione del loro rapporto con i partiti!
È un bene tutto questo? Certo che no se i movimenti non sono in grado di costituire il soggetto politico unificante e vivono sulle fondamentali specificità su cui sono nati. Ma questo non esime i partiti, e noi stessi, dall’interrogarci sul nostro modo di essere. E io penso che il nostro modo di essere non è adeguato.
Ci si chiude nell’autoreferenzialità e in gruppi dirigenti selezionati per fedeltà e scelti per cooptazione mentre servirebbe un confronto politico in campo aperto; si parla di unità della sinistra e si seleziona solo per criteri di omologazione. Dovremmo essere la forza che con più coraggio e coerenza apre la strada di una costituente della sinistra contro il sistema capitalista e per la costruzione di una moderna società socialista fondata sulla cooperazione e l’autogestione e, invece, continuiamo a discutere e litigare sull’unità dei comunisti, i dosaggi nei rapporti federativi con le altre forze, un fantomatico rilancio della Federazione della Sinistra e altre amenità che lasciano assolutamente indifferenti gli operai, i disoccupati, i precari, i giovani, le donne e, ormai, penso, persino i pensionati che pure hanno memoria delle lotte e delle battaglie con le quali abbiamo conquistato i diritti sociali e del lavoro che adesso costituiscono l’obiettivo dell’attacco dei signori dei mercati. Dovremmo essere una forza che con più coraggio e coerenza riapre il confronto con le altre forze, anch’esse travagliate e stravolte, della sinistra europea; nel passato recente, con una strategia lungimirante, siamo stati promotori e protagonisti. Nella crisi delle socialdemocrazie e nella dispersione delle forze di sinistra, socialiste e comuniste, dovremmo cercare di promuovere un confronto e una prospettiva per ridare significato e valore ad un internazionalismo quanto mai attuale e necessario nella fase del capitalismo globalizzato e in crisi e, invece, rischiamo di subire e pagare il paradosso di un capitalismo reale che riesce a trasformare il suo fallimento in una nuova vittoria. E in Europa non c’è solo la deriva neofascista ungherese, ma incombe un pericolosissimo successo della destra razzista e fascista francese; per non parlare delle possibili derive della crisi della Lega. Non basta, dunque, esprimere recriminazioni per le colpe della sinistra moderata e reciproche solidarietà tra bastonati!
Però usciremo da questo CPN come siamo usciti dal recente Congresso: soddisfatti della rinnovata unità di una larga maggioranza e canonizzati nelle mozioni e nelle aree con le quali nel Congresso ci siamo entrati.